dal libro
RELIGION ET MENTALITÉS AU MOYEN ÂGE
Nessuno è profeta nella propria terra! O le tribolazioni di Merlino in Armorica.
Nul n’est prophète en son pays ! Ou les tribulations de Merlin en Armorique
Jean-Christophe Cassard
Il detto recita: "Nessuno è profeta nella propria terra" e, sembra, i profeti ancor meno della gente comune. Bretone di pedigree incerto, Myrddin - presto divenuto Merlin a causa di una cattiva ortografia durante la traduzione del suo nome in romano - invade lo spazio storico-leggendario dell'isola d'Inghilterra già nella prima metà del XII secolo: la sua Vita e le sue Profezie, immaginate o almeno arrangiate da Geoffroy de Monmouth, ottengono il successo che si conosce mentre il suo personaggio, sviluppando la sua complessità, integra la materia letteraria della gesta arturiana fino ai suoi ultimi sviluppi. In modo curioso, questo successo non viene riscontrato in Bretagna armoricana, dove occorre aspettare il XIV secolo per vedere Merlin segnalato quasi per caso e non tra coloro che ci si sarebbe aspettati in primo luogo.
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Quando Merlino sembrava inglese
Oggi è riconosciuto che una guerra non si vince solo per fortuna sul campo di battaglia: da sempre, la vittoria implica molti altri parametri, alcuni fattuali - come la capacità di mobilitare risorse finanziarie ed umane, la disciplina e l'arte tattica, la capacità di controllare una rete di città e castelli - e altri più sottili, a sfondo psicologico, che sono gli unici capaci di rafforzare le fedeltà, di ravvivare gli entusiasmi quando le operazioni si prolungano. Ma questi ultimi fattori sono anche i più difficili da comprendere per lo storico poiché la documentazione scritta medievale rende conto solo in modo molto imperfetto della profondità vissuta di un conflitto, della motivazione dei suoi attori o della sostanza dei loro pensieri più profondi. Nella guerra di successione bretone (1341-1364), la competizione per il patronato dei santi è evidente, unico dato tangibile che riflette apertamente un enigma di propaganda significativo. I cronisti o i testimoni lasciano trasparire tuttavia intorno alla persona di Carlo di Blois altri vettori di questa guerra immateriale - la rivelazione dei mali di una mendicante, spia durante l'assedio di Quimper nel 13444 o un sogno premonitore prima di Auray - ma sembra che queste interferenze soprannaturali non abbiano avuto alcuna pubblicità e quindi la loro efficacia in termini di propaganda appare nulla, almeno sul momento. Un'altra occorrenza della guerra psicologica, questa volta pubblica, si trova nel campo avversario e coinvolge direttamente il nostro profeta.
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Almeno in tre occasioni, degli Inglesi si considerano informati sull'esito di una battaglia grazie all'interpretazione che fanno dei Libri di Merlino che i loro compatrioti amano possedere e che utilizzano comunemente in quel periodo. Su questi libri, non ci viene detto nulla che ci permetta di sapere se si tratta effettivamente del saggio di Geoffrey di Monmouth o, almeno, di una delle sue traduzioni-adattamenti in francese d'Inghilterra, o addirittura di un altro testo attribuito al vecchio profeta dei Brettoni dell'isola. Nulla a maggior ragione permette di suggerire a quale passaggio preciso delle previsioni si riferissero questi lettori interessati a scoprire il pegno del destino delle loro armi. Tuttavia, non c'è dubbio che Merlino abbia contribuito a rafforzare il morale di almeno alcuni combattenti d'oltremanica bloccati nella interminabile contesa bretone: in questo senso egli partecipa alla costruzione di un immaginario di guerra indipendente dalle considerazioni tecniche piatte dell'arte militare e che fa pienamente parte della storia delle mentalità.
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Merlino lo straniero, passato al servizio della Francia?
In quest'analisi laconica, ovviamente, occorre sfumare il campo di osservazione. Se l'uso dei libri di profezia sembra poco comune tra i guerrieri coinvolti nelle realtà vincolanti del terreno nel XIV secolo, diventa più frequente nella letteratura cavalleresca, e presto l'intera Francia, dal 1380 circa al 1435, si troverà di fronte a una nuova ondata di profezie popolari, di cui Giovanna d'Arco rappresenta l'apice. Del ricordo della sua epopea, Merlino non è assente: un autore tanto autorevole come Christine de Pisan ricorda nel 1429 nel suo Ditié de Jehane d'Arc che con la Sibilla e Beda il Venerabile preannunciò la sua venuta, poi nel 1456, durante il suo processo di riabilitazione, Jean Bréhal si basa, tra gli altri argomenti, su alcuni versi di Merlino, avvalorati da Sigebert de Gembloux e Vincent de Beauvais, per rafforzare l'autenticità della missione profetica di Giovanna. Ancora alla fine del secolo, intorno al 1488, Simon de Phares lo accoglie favorevolmente nel suo pantheon degli astrologi più celebri, unico profeta qualificato come tale dalla venuta di Cristo perché il suo prestigio, brutalmente esaltato dal sentimento nazionale attraverso gli episodi di Du Guesclin e, soprattutto, di Giovanna d'Arco, lo esonera da ogni sospetto di impostura intrinseco al profetismo mercantile, agli occhi di questo rigoroso astrologo riguardo al credito "scientifico" da applicare alla sua disciplina.
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Ma questo si verifica solo durante la seconda fase della guerra franco-inglese, quando la figura di Merlino si è sufficientemente affermata da essere utilizzata saggiamente da entrambi i beligeranti. Allora, il recupero dell'apatride da parte del campo francese sembra acquisito. All'inizio del conflitto, la discrepanza delle propagande appare invece molto marcata, quasi unilaterale.
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Più o meno concertata, una potente offensiva profetica anti-francese, ripresa da diversi relais continentali, tra cui Froissart, caratterizza infatti la prima metà del XIV secolo: ad un Edoardo III promesso alle destinazioni più belle, già unificatore dei tre corone che si spartivano l'isola, rifondatore della Tavola rotonda di Artù, si oppongono gigli in preda alla decadenza fisica e morale, incapaci di imporre la pace e la prosperità nei loro stati. Il cinghiale intravisto da Merlino denuncia ora in modo implicito attraverso le voci che circolano e nella letteratura - come quella del Roman de Perceforest - la perdita programmata di un nuovo re malfermo, ferito alla coscia da un enorme e meraviglioso maiale che si rotola nella melma, colpito da sterilità, incapacità... I capricci del clima, gli scandali domestici della casa capetingia, la successione rapida dei "re maledetti" e poi il trono mal assicurato di un Filippo VI si ostinano a confortare l'uditorio continentale della propaganda inglese senza che il solito messianismo reale francese trovi ancora materia per una replica efficace. Emergono così la realizzazione e la riforma del regno bicéfalo nella persona di Edoardo III, erede regolare dei re Plantageneti, ma anche figlio di Isabella di Francia, parente stretto degli imperatori, cavaliere completo... insomma, un Edoardo trasformato in un nuovo Artù, pronto per completare il ciclo di Merlino.
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In questo contesto calamitoso, le tre allusioni ai Libri di Merlin che abbiamo individuato nel teatro bretone rappresentano, a mio avviso, come un primo tentativo di fuoco di sbarramento, improvvisato e ancora in fase di taratura. Piuttosto che rispondere con un argomentario dello stesso tipo, gli autori pro-francesi - testimoni e cantori sia di un successo di stima delle loro armi, sia di un risveglio indiscutibile con Bertrand - si accontentano prima di tutto, per la battaglia dei Trenta, di sottolineare in modo ironico l'insensatezza della credenza inglese, rimandando il vinto alla sua cattiva e fatale lettura. In un secondo momento, sempre con urgenza, ma con un'urgenza rilassata grazie alla gesta del connestabile, con Cuvelier e l'anonimo della Cronaca di sire Bertrand du Guesclin, Merlin sta già diventando parte dell'immaginario di guerra accettabile dal pubblico francese: la sua irruzione sulla scena di Auray, sebbene non sconvolga l'ordine della storia poiché l'esito della battaglia è noto a tutti, la sospende per un momento quando Charles si crede liberato del suo rivale... Una generazione dopo, intorno a Jeanne d'Arc, il profeta si è imposto abbastanza da far cadere gli ultimi pregiudizi e da avallare, con il suo modesto ruolo, l'epopea della Pulcella.
Quindi, Merlin non ha completamente abbandonato il regno continentale e, se necessario, annuncia il raddrizzamento delle armi del re o del delfino: tuttavia, la sua intrusione attiva in Bretagna sembra essere stata il risultato dell'influenza straniera, di questo inglese che, meglio del popolo bretone per ovvie ragioni di accaparramento dell'eredità monarchica comprovata sin dal XII secolo dai Plantageneti, ha saputo onorare e far prosperare la figura mitica di un re Artù, annunciatore della grandezza rinnovata dei sovrani britannici, mentre nella sua scia si trovava il vaticinatore delle oscure foreste caldeonesi. Questo periodo vede come corollario il crollo dell'ultimo sussulto della speranza bretone con il crudele assassinio di Artù di Bretagna, perpetrato, secondo forti probabilità, dalla mano dello zio Giovanni senza Terra a Rouen nel 1203: da allora gli Armoricani attendono invano il ritorno di Artù alla loro guida, e tra i loro vicini questa attesa, presto rassegnata, di un improbabile salvatore suona così falso, passa per un sogno così vuoto che potrebbe rendersi con il nostro moderno "attendere ai calendari greci". Potrebbe persino darsi che il nome di Artù sia diventato un soprannome che copre con la sua vergogna i malcapitati peninsulari costretti dalla povertà all'esilio attraverso le province francesi: nell'ottobre del 1351 il re grazia un certo Jean le Breton, di Lussac in Poitou, che aveva ucciso per errore Adam Morin durante un esercizio di tiro con l'arco. Jean era soprannominato Arturus nel suo ambiente e definito "pauper et miserabilis persona". Un bretone, un Artù, un nullità! In confronto al suo re, la figura di Merlin non ha subito probabilmente una caduta simile a causa della sua popolarità non altrettanto radicata in Armorica.
Merlino, tuttavia, non ha abbandonato completamente il regno continentale e, se necessario, annuncia il ripristino delle armi del re o del Delfino: la sua intrusione attiva in Bretagna sembra invece essere stata opera di un estraneo, di quell'inglese che, meglio del popolo bretone, per evidenti ragioni di acquisizione ereditaria monarchica, dimostrata sin dal XII secolo dai Plantageneti, era riuscito ad onorare e far prosperare la figura mitica di un re Artù annunciatore della grandezza rinnovata dei sovrani britannici, mentre nella sua scia appariva il vaticinatore delle oscure foreste caldeoniane. In conseguenza di ciò, in questa epoca si verifica il collasso dell'ultimo sussulto della speranza bretone con l'atroce omicidio di Arturo di Bretagna, perpetrato, secondo forti probabilità, dalla mano dello stesso zio Giovanni Senza Terra a Rouen nel 1203: da allora, gli Armorici attenderanno invano il ritorno di Arturo alla loro testa, e tra i loro vicini quest'attesa, presto rassegnata, di un improbabile salvatore suona così falso, passa per un sogno così vuoto che potrebbe essere reso dal nostro moderno "attendere alle calende greche". Potrebbe anche darsi che il nome di Arturo sia finito per diventare un soprannome che copre con la sua ignominia i malcapitati peninsulari costretti dall'indigenza all'esilio attraverso le province francesi: nell'ottobre del 1351 il re perdonò un certo Jean le Breton, di Lussac in Poitou, che aveva ucciso accidentalmente Adam Morin durante un'esercitazione di tiro con l'arco. Jean era soprannominato nel suo entourage Arturus e definito "pauper et miserabilis persona". Un bretone, un Arturo, un buono a nulla! In confronto al suo re, la figura di Merlino non ha certamente subito una simile decadenza per mancanza di una popolarità altrettanto radicata in Armorica.
Tuttavia, nelle sue nobili origini Merlino - o più precisamente Myrddin per ancora - era un buon bretone, al servizio del più grande re delle loro leggende. La sua autoctonia approssimativa non soffre di discussioni e si inserisce bene nel gusto degli antichi bretoni per i testi profetici e divinatori. Qualunque sia stato il meccanismo che ha portato alla concretizzazione nella sua figura emblematica della loro propensione comune a rivolgersi a messaggeri eccezionali in grado di rivelare un futuro migliore a un popolo alle prese con difficoltà di ogni genere, i bretoni non hanno mancato di proporre prototipi ai chierici medievali per stabilire il loro Merlino nei suoi diversi ruoli e posture.
Ma l'originale Merlin britannico era dell'Armorica? Se si riprendono i testimoni più antichi, Geoffrey di Monmouth e Jean di Cornovaglia, è forza riconoscere che la Bretagna continentale figura ben poco nel galimatias che questi autori imputano al profeta ispirato. Una identica constatazione si impone per i brandelli della letteratura perduta degli Armorici: tutto sommato, la figura di Guinglaff si rivela più autentica, più viva anche di quella di Merlin nel suo ruolo di uomo selvaggio dotato del dono della doppia vista... In realtà, il divinatore acquisisce qui un pizzico di rispettabilità tardiva grazie all'ombra proiettata della scrittura e dall'alto.
Ma Merlin è diventato un vero e proprio bretone? Nel comporre i frammenti della sua Cronaca sotto il regno del duca François II, Jean de Saint-Paul riprende a modo suo l'essenziale del Poema dei Trenta con l'inefficace annuncio merlinesco interpretato dal capitano inglese, e poi attribuisce esplicitamente ai sortz Merlin la saggia precauzione presa all'inizio della battaglia di Auray da un Montfort preoccupato per una certa profezia:
"Il conte fece vestire la sua tunica, coperta di armi di Bretagna, a un cavaliere che era suo cugino, perché aveva trovato nei sorti di Merlin che tra due signori che contenderanno la Bretagna, la battaglia sarà faticosa, in cui le armi della Bretagna saranno sconfitte."
Riguardo alla grande guerra nobiliare del XIV secolo, questi richiami di Jean de Saint-Paul a comportamenti passati un po' sorpassati non avranno seguito poiché gli storici successivi non si estendono molto su un conflitto doloroso per tutti, che va contro le loro chiamate incessanti all'unità dei Brettoni dietro il loro duca... Merlin esce con loro dall'attualità bruciante e diventa sempre più una semplice icona di carta scritta, ereditata da Geoffroy de Monmouth. Tuttavia, non era sempre stato così nelle decadi precedenti.
Verso la fine del XIV secolo e l'inizio del XV, l'autore anonimo della Cronaca di Saint-Brieuc riferisce di aver letto e compilato gli autori inglesi che si erano impegnati a decifrare la storia politica della loro isola attraverso i versi misteriosi attribuiti al profeta. Dalla conquista di Guglielmo il Conquistatore, figlio di una Armoricana incontrata a Rouen dal padre e restitutore parziale dell'isola ai suoi antichi padroni, tutto passa attraverso un registro molto oscuro: la disputa mortale dei due figli del Conquistatore, l'assassinio di San Tommaso Beckett, le dispute tra i "leoni" nati da Enrico II, la servitù degli inglesi dopo che Giovanni senza Terra divenne vassallo del suo regno presso il Santo Padre... La storia armoricana non trova il suo posto, tranne in un caso marginale con l'annuncio di Merlin del destino tragico di Arturo di Bretagna, figlio di Goffredo Plantageneto e Costanza, destinato a una morte atroce per mano dello zio. La dominante è molto anti-inglese sia nella forma che nella sostanza, l'autore anonimo denuncia con violenza le tentate falsificazioni commesse dagli interpreti a servizio della nazione detestata. Questa virulenza deve essere inserita nel contesto particolare di un ducato che, verso il 1400, fatica ad affermare la sua identità propria tra i due regni e dove i combattenti d'oltremare non hanno lasciato solo buoni ricordi, nonostante il sostegno decisivo che hanno fornito a Jean IV all'inizio: la personalità nazionale bretone si costruisce soprattutto contro i "sassoni, pagani e traditori, che ora vengono chiamati inglesi", usurpatori dell'isola, e i loro discendenti in un'epoca in cui la minaccia francese non sembra credibile.
Nel lungo capitolo che si propone di chiarire le cose, l'autore anonimo combatte con veemenza la pretesa inglese di incarnare l'autentica Bretagna. Confuta questa usurpazione d'identità, sostenendosi sui fatti comprovati della storia dedotti dal miglior testo disponibile delle Profezie, che ha ottenuto da un signore bretone che ha lungamente soggiornato in Inghilterra. Nonostante, alla fine, alcune proteste di prudenza su queste parole oscure, il suo profondo sentimento rimane che la speranza bretone si realizzerà nel suo tempo, conformemente alle parole di Merlino: allora gli "stranieri" saranno cacciati dall'isola dai suoi autentici "cittadini", cornici, gallesi, scozzesi di Albania e bretoni d'Armorica. Contro il popolo infedele destinato alla decadenza terminale, il vocabolario dell'autore anonimo esprime un'abrupta xenofobia tanto la razza sassone, assetata di sangue umano, iniqua, gli appare attentatoria alla grandezza passata della Bretagna, ma l'ora di una giusta vendetta suonerà nel momento assegnato da Dio e intravisto da Merlino! Questo discorso estremo, che introduce un profeta partigiano e fino in fondo nel dibattito nazionale sotto il regno di Carlo VI, porta ovviamente a un doppio vicolo cieco - uno pratico alla luce dei rapporti di forza reali sul campo in quel momento, l'altro strategico poiché il ducato dei Montfort sotto Giovanni V e i suoi successori evita di provocare gratuitamente il suo potente vicino insulare, ancora di più di rivendicare un ipotetico eredità ancestrale fondata sull'antichità dei diritti storici sull'altra riva della Manica…
In relazione alle folli e irredentiste fantasie alimentate intorno al 1394 nella Cronaca di Saint-Brieuc, le Profezie di Merlino potrebbero rivelarsi pericolose e controproducenti: ogni interpretazione eccessiva di questi testi oscuri è pertanto bandita ai tempi dei Montfort. In altre parole, di Merlino non rimane che una figura su carta, sterilizzata, svalutata, tratta dai vecchi libri di magia, che gli storici del ducato citano per erudizione senza concedergli alcun impatto sul loro mondo.
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Le riferimenti attuali ai misteriosi ospiti della foresta di Brocéliande non hanno, a mio parere, alcun valore di radicamento temporale in quanto sono solo avatar di una piantagione mitico-letteraria rischiosa sin dalla riscoperta della letteratura medievale nel XIX secolo, suscitata dal romanticismo e alimentata da un regionalismo in cerca di falso esotismo in patria. Il turismo ha poi preso il posto per coltivare l'idea ricevuta e far prosperare il cliché nella civiltà del tempo libero. Ma l'albero d'oro non deve nascondere la brughiera rasa: Merlin il profeta non lo fu realmente in Bretagna armoricana. Infatti, giunse su questa terra solo nei bagagli dei cavalieri inglesi che vi combattevano per la causa del giovane Montfort; la sua acclimatazione rimase precaria, come un innesto secco trapiantato bruscamente da una conoscenza libraria quasi diversa, perché, nonostante le apparenze iniziali, non tutto ciò che è bretone è necessariamente di qui. Eterna cultura di un'ambiguità tra tutte le possibili Bretagne!
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